DAL GENERALE DALLA CHIESA - ETTORE LEMBO NEWS

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Dal Generale Dalla Chiesa alle “sue” donne. L’Italia che a molti manca.
Qualche giorno fa seguivo in televisione il film dal titolo “Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa”.
Un film che racconta la storia di un grandissimo, immenso, servitore dello Stato.
Un uomo tradito dallo Stato perché scomodo, perché integro.
Un “vero uomo”, non “in vendita”.
Nel vedere il film che ne narra un tratto di vita mi hanno colpito in particolar modo le figure femminili e la rappresentazione della sua intera famiglia.
La prima moglie, le figlie, il figlio, la seconda giovanissima moglie.
La donna veniva narrata un tempo come “la regina del focolaio”, della casa.
Qualsiasi fosse l’ampiezza della sua vita, compresa quella professionale, era nella sua dimensione di moglie e, in alcuni casi, madre che trovava il suo ruolo sociale più importante perché in esso diveniva forza determinante, ed insostituibile, della crescita del sistema socio politico economico della nazione.
Donne, donne vere, donne realizzate. Donne che si dedicano alla famiglia. Donne che lavorano ma non perdono la propria femminilità. Donne che sanno portare aiuto ai più deboli.
Quattro donne vengono rappresentate in questo film che racconta molto di più della storia di un grande servitore dello Stato, racconta un modello sociale basato su valori “tradizionali”, valori forti e certi, valori di successo.
Valori identici da una generazione all’altra, valori coniugati con stile diverso da una generazione all’altra.
Valori mantenuti saldi.
Tre modi diversi.
La prima moglie fu una casalinga devota al marito generale.
Le figlie, donne della loro generazione, lavoratrici, mogli, madri e devote da figlie al padre.
La seconda moglie, testarda giovane donna, alto borghese, crocerossina e dedita al volontariato, devota fino all’estremo sacrificio al “suo” uomo di cui rispettava ruolo e storia, anche quella famigliare.
Valori declinati in modo diverso ed al passo delle diverse generazioni, ma certi e strumento della crescita del modello sociale italiano.
Reale volano di crescita come dice in un passaggio, un magnifico passaggio, il generale alla figlia Rita, oggi parlamentare, che aveva deciso di separarsi dal primo marito, un ufficiale dei carabinieri, “dietro ad un grande uomo vi è sempre una grande donna, senza tua madre non sarei riuscito a fare quello che faccio, siamo una cosa sola io e tua madre”.
“Una cosa sola”, questo il valore della famiglia tradizionale, questo il motivo del successo di questo immenso simbolo dell’Italia per bene che è, non fu, il Prefetto, Generale, Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Questo viene fatto dire al generale Dalla Chiesa e chi ha avuto il grande onore di conoscerlo non fa alcuna fatica a ritrovarsi in quella scena del film.
La figlia, donna di una generazione diversa, si separò lo stesso ma non perse mai la sua visione “femminile” della vita.
Manuela Setti Carraro, la seconda moglie, morirà affianco al “suo” uomo a Palermo.
A questa magnifica figura femminile viene fatto dichiarare nella narrazione del film al “suo generale”una frase fortissima “Io sono testarda”.
Una “testardaggine” forte e volitiva quella della Setti Carraro, non banale e da donna viziata.
Una “testardaggine” che la portò a vivere affianco al “suo” uomo a Palermo anche contro la volontà dello stesso. Scevra del pericolo, certa che il “suo” uomo avesse bisogno della “sua” donna per essere “uomo” fino in fondo.
Verranno assassinati insieme su quella A112, una utilitaria simbolo di una vera “famiglia”.
Due eroi, non un eroe con “sua moglie”.
Due persone che sapevano chi fossero e declinavano con orgoglio il proprio ruolo nel sistema sociale.
Donne diverse, donne vere. Donne donne. Donne volitive, libere, forti ed al passo con i propri tempi quelle rappresentate in questo magnifico film in onore di magnifiche figure, tutte, non solo il generale prefetto, dell’Italia che piace a molti italiani.
Esattamente le donne di cui oggi non si parla, esattamente gli uomini di cui oggi non si parla.
Esattamente le donne, e gli uomini,  di cui parla il generale Vannacci nel suo libro.
Donne, figlie, mogli, madri e lavoratrici che sanno di essere “donne” e sanno del loro immenso “potere sociale” affianco a “veri uomini” che ne sanno comprendere il valore e sanno che “affianco ad un vero uomo ci deve essere una vera donna e viceversa”, come mi insegnava un’altro grande uomo, mio padre.
Perché quelle “donne” avevano un “immenso potere sociale” anche se non lo urlavano e non andavano in giro pressoché discinte per urlare il loro essere libere, essere donne.
Il generale Vannacci racconta nel suo libro documento di una idea sociale di sua madre e suo padre, io, “cittadino semplice”, nel vedere il film sul generale Dalla Chiesa ricordo le parole del generale Vannacci ma, ancor di più, quella immensa “vera donna” che fu mia madre.
Anche lei “donna silenziosa”, anche lei “donna potentissima”.
Ignoto Uno
04/09/2023
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