IL PROBLEMA DELLE RESPONSABILITÀ...(Boris Borlenghi) - ETTORE LEMBO NEWS

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IL PROBLEMA
DELLE RESPONSABILITÀ:
BISOGNA PER FORZA
PENSARCI IN RITARDO?

Non di rado si assiste a discussioni in merito ad Halloween,
Non di rado si assiste a discussioni in merito ad Halloween, la notissima festa - pagana - di fine ottobre nella quale si celebra quel senso di orrore e di tenebroso che tanto sembra attirare persone di tutte le età, specialmente quelle più giovani. Trascendendo dai giudizi direttamente legati a questa ricorrenza, che lasciamo ai lettori senza interferire con la loro opinione, non si può non ricordare quello che è successo negli ultimi giorni, più precisamente sabato, a Seoul, la capitale della Corea del Sud: durante i festeggiamenti un’enorme calca di individui ha invaso le zone più dinamiche della città e le ha rese vere e proprie trappole per decine di persone che, ammassate senza controllo, hanno dato vita ad una tragica spirale mortale. Si è discusso a lungo sull’accettabilità o meno di un evento del genere, su quanto fosse stato previsto dalle autorità locali, le quali ora, a distanza di vari giorni, cominciano ad ammettere responsabilità e trascuratezze che sono state la vera causa di quanto accaduto.
Come riporta una nota testata giornalistica italiana, il ministro sudcoreano dell'Interno e della Sicurezza, Lee Sang-min, in una sessione parlamentare in cui ha chinato il capo in segno di rispetto verso le vittime e le loro famiglie, ha affermato di porgere “umili scuse per l'incidente, sebbene la nazione abbia responsabilità illimitata per la sicurezza delle persone”. Egli ha poi promesso di lavorare per evitare che simili tragedie si ripetano, secondo l'agenzia di stampa Yonhap.
Ma più nel dettaglio, cosa si sarebbe potuto fare per evitare la strage? Come affermato dal capo della polizia nazionale Yoon Hee-keun, “la polizia sudcoreana ebbe più segnalazioni urgenti di pericolo sabato sera”, dopo aver schierato solo 137 agenti a Itaewon, il quartiere della movida nonché teatro della disgrazia, dove si contavano circa 100mila presenze, e ben 6.500 presso una manifestazione a Seul dove il numero di partecipanti non superava i 25mila. La prima telefonata di emergenza alla polizia di Itaewon è stata fatta alle 18.34 ora locale, diverse ore prima che la tragedia si compisse: “Quel vicolo è davvero pericoloso in questo momento, le persone vanno su e giù e se continua così verranno schiacciate. Ce l'ho fatta a malapena a uscire, ma è troppo affollato. Penso che dovreste controllare'', ha detto la prima persona che ha chiamato la polizia quel pomeriggio, come riporta una differente fonte, citando la prima di almeno dieci telefonate di emergenza.
La prima fonte aggiunge che questo “Halloween di Itaewon” non era un evento “ufficiale, con un organizzatore designato”, era anzi ritenuto più un “fenomeno” che un vero e proprio festival, per cui “né la polizia né le autorità locali stavano gestendo la folla”, la quale, come spesso accade in Corea del Sud, spesso è inferiore di numero agli agenti schierati a controllarla. Il presidente Yoon Suk-yeol, in una riunione di gabinetto, ha chiesto di sviluppare ai fini della sicurezza sociale "capacità digitali all'avanguardia”, nonostante la città di Seul “sia dotata di un sistema di monitoraggio in tempo reale che utilizza i dati dei telefoni cellulari per prevedere le dimensioni della folla”, il quale però sabato sera non è stato attivato, secondo i media locali ripresi da testate italiane.
Intanto il bilancio delle vittime è salito a 156, la maggior parte giovani tra i 20 e i 30 anni, tra cui 26 stranieri provenienti da 14 Paesi. Il bilancio potrebbe aggravarsi poiché 29 persone sono in condizioni critiche, mentre circa 151 sono i feriti. Il governo ha annunciato un periodo di lutto nazionale di una settimana per la tragedia fino a sabato prossimo.
La domanda però rimane sempre la medesima: occorre davvero attendere che una disgrazia si sia consumata per rivedere le proprie responsabilità e mettere in discussione quanto si è svolto? Occorre ogni volta, come in questo caso, lasciare alle folle quella massima e incontrollata “libertà” che poi diventa un micro esempio di anarchia locale con disastrosi effetti sociali? Anziché tentare di trovare spiegazioni per la vicenda di Seoul, non dovrebbe forse essa fungere da monito tanto in Corea del Sud quanto nel resto del mondo? Neanche in Italia siamo troppo estranei a questo atteggiamento, quello di lasciar accadere il danno e di disperarcene solo in seguito: che possa servirci da lezione, a partire dai livelli più personali e quotidiani fino ad arrivare, specialmente, a quelli che richiedono una maggiore responsabilità.
Boris Borlenghi
03/11/2022


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