L’Eco del Tritolo: Palermo si spezza, la memoria di Chinnici resiste

Palermo, 29 luglio 1983. Ore 8:05.
Il rombo assordante di un’esplosione scuote il cuore residenziale della città. Via Pipitone Federico, fino a un attimo prima placida arteria borghese, si trasforma in un cratere di fumo, lamiere e carne dilaniata. Un’Alfa Romeo imbottita di tritolo — settantacinque chilogrammi di esplosivo militare — deflagra al passaggio del magistrato Rocco Chinnici, colpendo lui, i due carabinieri della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e lo sfortunato portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi. Palermo, ancora una volta, assiste attonita alla barbarie mafiosa.
Fu un attentato “alla libanese”, come lo definirono allora. Per la prima volta, Cosa Nostra utilizzava un’autobomba telecomandata in pieno stile mediorientale. L’obiettivo era preciso, chirurgico: eliminare non solo un uomo, ma una visione. Chinnici non era soltanto un giudice. Era l’inventore del pool antimafia, l’uomo che aveva intuito — con impavida lucidità — che per scardinare l’organizzazione criminale serviva un fronte compatto, una rete di magistrati uniti contro l’omertà e il potere occulto.
Chinnici era un uomo pacato, ma determinato. Quando parlava ai giovani nelle scuole — e lo faceva spesso — non usava i toni da oratore roboante. Usava le parole di un padre che aveva visto troppi figli cadere. Credeva nell’educazione come antidoto al crimine. “La mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato ha lasciato soli”, dirà molti anni dopo suo figlio, citando le sue riflessioni più intime.
L’idea del pool, nata con lui e portata avanti da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sarà il germe del maxi-processo e dell’azione giudiziaria sistemica contro Cosa Nostra. Ma nel 1983 quella rivoluzione era ancora embrionale. E il sacrificio di Chinnici servì — amaramente — a renderla irreversibile.
Non si può ricordare quella strage senza scolpire nella memoria anche i nomi di chi cadde con lui. Mario Trapassi, carabiniere scelto, 29 anni, giovane e determinato. Salvatore Bartolotta, appuntato, 43 anni, padre, onorato servitore dello Stato. E Stefano Li Sacchi, il portiere che ogni mattina apriva il cancello di via Pipitone 59 senza immaginare che sarebbe stato testimone involontario del martirio civile.
Senza retorica: questi uomini sono i nostri veri padri costituenti del tempo moderno. Hanno firmato con il sangue la nostra libertà di parlare, denunciare, scegliere.
Ogni 29 luglio, Palermo si ferma. Si depongono corone, si leggono nomi, si celebrano messe. Ma la vera commemorazione è un’altra: è quella che si svolge nelle scuole, nelle biblioteche, nei tribunali, nelle aule in cui si insegna legalità come seme vivo, non come ricorrenza liturgica.
Oggi, a 42 anni di distanza, la figlia Caterina Chinnici — magistrata ed europarlamentare — rinnova il monito del padre: “Non lasciamo che la memoria sia solo un esercizio rituale. Ogni giorno dobbiamo scegliere da che parte stare.”
La strage di via Pipitone non è solo cronaca del passato. È uno specchio crudo della nostra fragilità democratica. È il monito che ci ricorda che lo Stato, se non è unito, diventa permeabile. Che i servitori della giustizia possono essere traditi due volte: dalla mafia e dall’indifferenza.
In quel cratere fumante del 1983, non morì soltanto un giudice. Morì un pezzo d’Italia che cercava di risorgere. Ma proprio da quella ferita — come accade nelle storie epiche — nacque una resistenza civile, una nuova consapevolezza. Chinnici è stato il primo anello di una catena di martiri, seguiti da Falcone, Borsellino, Livatino, Costa, Terranova, Dalla Chiesa.
Luisa Paratore
30/07/2025
Fonti:
* Wikipedia: [Strage di via Pipitone Federico](https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_via_Pipitone)
* Wikipedia: [Rocco Chinnici](https://it.wikipedia.org/wiki/Rocco_Chinnici)
* ANSA: "Rocco Chinnici, 42 anni fa la strage", 29 luglio 2025
* Il Fatto Quotidiano: "Rocco Chinnici, quarant’anni fa l’attentato",