C N R: Andrea Lenzi alla guida del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
la ricerca incontra la responsabilità.

La notizia è arrivata dopo oltre tre mesi di vuoto istituzionale. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), il più grande ente pubblico italiano dedicato alla ricerca scientifica, ha finalmente un nuovo presidente. Il professor Andrea Lenzi, nato nel 1953, medico ed endocrinologo di fama internazionale, è stato nominato con decreto ministeriale il 26 luglio 2025.
Non si tratta di un nome qualsiasi. Lenzi porta con sé un curriculum imponente: oltre 950 pubblicazioni scientifiche, numerosi incarichi di vertice nel mondo accademico e istituzionale, e una credibilità costruita in decenni di lavoro rigoroso. Ma ciò che colpisce è un altro dato: il mandato sarà svolto a titolo gratuito. Un gesto tanto simbolico quanto concreto, che in un’epoca in cui la parola “merito” è spesso inflazionata, restituisce dignità al concetto di servizio pubblico.
Il CNR è molto più di una struttura amministrativa. È il cuore pulsante della ricerca italiana, un ponte tra conoscenza e innovazione, tra università e industria, tra la memoria scientifica del passato e le sfide sostenibili del futuro. Fondato nel 1923, conta oggi oltre 8.000 tra ricercatori, tecnologi e tecnici, e si articola in sette Dipartimenti tematici e decine di Istituti sparsi in tutta Italia. È qui che si studiano soluzioni per la crisi ambientale, si esplorano nuove frontiere nella medicina, si digitalizza il patrimonio culturale e si progettano sistemi per la resilienza energetica.
Eppure, questo colosso della scienza nazionale era rimasto privo di una guida dal 12 aprile scorso, con la scadenza del mandato di Maria Chiara Carrozza. Dopo una breve proroga tecnica, era calato il silenzio. Un’assenza che ha rallentato decisioni strategiche, ostacolato progettualità e disorientato chi, quotidianamente, lavora in condizioni spesso precarie. Perché, va detto con chiarezza, dietro l’eccellenza del CNR si nasconde anche la fragilità di un sistema che da anni soffre per scarsi investimenti strutturali e una cronica instabilità lavorativa.
Non è un mistero che una fetta considerevole del personale del CNR lavori con contratti a tempo determinato, borse di studio o assegni di ricerca. Secondo le stime più recenti, i precari sono circa un terzo dell’intera forza lavoro dell’ente: tra ricercatori, tecnologi, tecnici e amministrativi, si contano oltre 3.000 figure non stabili, spesso impegnate in progetti legati al PNRR. Si tratta di donne e uomini che portano avanti ricerche decisive, pur vivendo nell’incertezza del rinnovo contrattuale e nella frustrazione di percorsi professionali interrotti o mai pienamente riconosciuti.
Negli ultimi mesi, le proteste si sono fatte più visibili. Dai flashmob con valigie e codici a barre che segnalavano le date di scadenza dei contratti, alle manifestazioni davanti al Ministero dell’Università e della Ricerca, il personale precario ha chiesto con forza ciò che dovrebbe essere ovvio: la stabilizzazione del lavoro e il rispetto delle regole. La legge Madia, che prevede percorsi di stabilizzazione per chi ha maturato almeno tre anni di servizio, è stata prorogata fino al 2026, ma le graduatorie rischiano di scadere senza essere utilizzate. Molti bandi non partono, i fondi appaiono insufficienti, e spesso le risorse destinate alle stabilizzazioni vengono dirottate altrove. Basti pensare che, secondo dati interni, nel 2021 su circa 33 milioni di euro disponibili, ne sono stati impiegati solo poco più di tre.
In questo contesto, la nomina di Andrea Lenzi potrebbe rappresentare non solo un cambio di guida, ma un cambio di passo. Perché la credibilità, da sola, non basta: serve visione, coraggio istituzionale, capacità di ascolto verso le comunità scientifiche e determinazione nel rivendicare investimenti adeguati. La ricerca non è una voce accessoria nel bilancio di un Paese, ma la sua spina dorsale se intende davvero guardare al futuro.
Lo ha evidenziato anche il Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, sottolineando la “competenza e visione strategica” del nuovo presidente. Chi conosce Lenzi sa che la sua è una visione ampia, interdisciplinare e concreta: presiede il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, guida la Scuola Superiore di Studi Avanzati della Sapienza e dirige una cattedra UNESCO dedicata alla salute urbana.
La sua nomina è anche un segnale: la scienza torna al centro del discorso pubblico, non più come riserva elitaria, ma come terreno comune da cui partire per affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Cambiamenti climatici, salute globale, intelligenza artificiale, crisi energetica: il CNR è chiamato a essere guida e coscienza tecnica di un’Italia che ha bisogno di competenze, metodo e verità.
Resta tuttavia la domanda: basterà una figura di alto profilo per affrontare i nodi strutturali della ricerca italiana? Occorre una volontà politica forte, un piano nazionale che non si limiti ai fondi del PNRR, e soprattutto il riconoscimento della scienza come bene comune. È urgente garantire a ricercatori e ricercatrici una prospettiva di lavoro stabile, dignitosa e valorizzata. Perché non può esserci innovazione senza continuità, né futuro se chi lo costruisce oggi è costretto a vivere come se fosse sempre in scadenza.
Nel frattempo, la scelta di Lenzi – e il suo rifiuto del compenso – lancia un messaggio chiaro. La ricerca non è un lusso, è un investimento. E chi la guida deve farlo con etica, competenza e coraggio.
Il CNR, con le sue radici profonde e i suoi rami protesi verso il futuro, ha bisogno di tutto questo. L’Italia, anche.
Luisa Paratore
28/07/2025