GARDONE RIVIERA
NEWS > AGOSTO 2025
Gardone Riviera,
dove l’educazione è in vacanza

C’è chi sul lago di Garda cerca poesia e chi vi cerca la morte, anche se per gioco. A Gardone Riviera, un gruppo di ragazzi ha pensato bene di intrattenersi fingendo di gettarsi sotto le auto in corsa, come se la strada fosse un palcoscenico e il paraurti di una Porsche un complice da tirare per la giacchetta. Il finale, purtroppo, non ha avuto nulla di comico: un ventisettenne irlandese è stato davvero travolto ed è finito in ospedale, grave ma vivo. Forse il destino ha deciso di concedergli una seconda occasione, che di certo non meritavano le circostanze in cui l’ha rischiata.
La cronaca ci consegna i fatti, ma il problema sta nel contesto. Perché questi ragazzi hanno pensato che sfidare la morte fosse un passatempo? E perché non si tratta di un caso isolato, ma di un fenomeno che, di tanto in tanto, riaffiora con un nome diverso e un esito simile? Basterebbe ripercorrere la triste genealogia delle cosiddette “challenge”: la “Skullbreaker Challenge”, con la quale due amici colpivano le gambe di un terzo facendolo cadere di schiena, con esiti talvolta drammatici; la “Blackout Challenge”, che consisteva nel procurarsi uno svenimento mediante soffocamento; la “Balconing”, il salto da balconi negli hotel delle località turistiche, spesso con conseguenze mortali. Tutto questo è già successo, e non in paesi lontani, ma qui, nelle nostre città, tra i nostri adolescenti. Il fatto di Gardone non è un’anomalia: è l’ennesima tappa di una lunga processione di idiozie mortali.
Eppure, ogni volta, il copione si ripete: i giovani sono incoscienti, le famiglie incredule, le istituzioni indignate. Poi tutto torna nel dimenticatoio, fino al prossimo incidente. Ma qui non c’è nulla da dimenticare: c’è solo da ammettere una verità che brucia. Questa generazione non gioca con la vita per un impulso inspiegabile, ma perché è stata lasciata sola davanti al vuoto. È sola in famiglia, dove genitori stanchi o distratti hanno scelto di confondere l’autorità con l’autoritarismo e, per paura di sembrare severi, hanno rinunciato a educare. È sola a scuola, dove si predicano valori in astratto, ma si evitano i temi concreti per timore di offendere la sensibilità di qualcuno. È sola nelle strade, dove lo Stato arriva sempre dopo, sempre a raccogliere i cocci e mai a prevenire.
Il sarcasmo, in questa desolazione, è quasi un dovere. Perché si può davvero credere che a convincere un ragazzo a non gettarsi sotto un’auto basti un volantino ministeriale con la scritta “La vita è importante”? Davvero pensiamo che un genitore che non ascolta il proprio figlio a cena possa improvvisamente diventare una guida morale davanti a un dramma del genere? E davvero continuiamo a sorprenderci come se fosse la prima volta, quando i dati dell’Istituto Superiore di Sanità già anni fa segnalavano che oltre duecentomila adolescenti italiani avevano partecipato almeno una volta a una sfida pericolosa? Forse non è sorpresa: è rimozione collettiva. È più comodo fingere che sia un episodio isolato piuttosto che guardare in faccia la verità.
La verità è che i genitori hanno abdicato al loro compito. Non tutti, certo, ma troppi. E in questa abdicazione non c’è solo stanchezza, c’è anche egoismo. È più facile concedere che educare, dire sì che spiegare un no, offrire un nuovo telefono che offrire tempo e attenzione. È più semplice lasciare che sia lo schermo a fare compagnia piuttosto che sedersi a parlare, ascoltare, discutere. Il risultato è che i figli imparano a cercare nel gruppo la conferma che non trovano in casa, e nel gruppo tutto diventa lecito, persino giocare con la morte.
Le istituzioni non sono da meno. Ogni tanto si annunciano progetti, risoluzioni, iniziative, tutte parole destinate a sciogliersi come neve al sole. Non basteranno mai conferenze stampa o hashtag a invertire la rotta. Ci vorrebbero scuole che affrontino di petto questi temi, famiglie supportate con programmi seri di sostegno alla genitorialità, controlli più severi su piattaforme che lucrano sull’incoscienza dei giovani. Ma tutto questo richiede lavoro, impegno, costanza. E la politica, si sa, ama le soluzioni lampo, le dichiarazioni roboanti, non certo le battaglie lunghe e silenziose.
Il giovane irlandese travolto a Gardone Riviera diventa così simbolo, non tanto della stupidità giovanile, quanto della nostra collettiva incapacità adulta. È il grido silenzioso di una generazione che non ha modelli credibili, e che per questo si inventa sfide assurde pur di sentire che la vita vale qualcosa. Non possiamo più fingere di non vedere. Perché ogni volta che un ragazzo rischia la vita in nome di un gioco, non è solo lui a cadere: è tutta la nostra società a precipitare, colpevole di aver smesso di educare.
Il vero incidente, dunque, non è quello accaduto sulla Gardesana. È quello che si consuma ogni giorno, nelle case, nelle scuole, nelle piazze, nel silenzio assordante degli adulti. Ed è un incidente che nessuna eliambulanza potrà mai soccorrere.
Luisa Paratore
Roma 26/(08/2025
Fonti:
ANSA, Corriere di Brescia, Giornale di Brescia, Istituto Superiore di Sanità.